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hommage to Gertrude Stein

rose is a rose is a rose is a rose

a cura di Silvia Bordini

 

Festa delle Rose

Castel Giuliano - Palazzo Patrizi

00062 Bracciano

sabato 16 e domenica 17 maggio 2009

orario 10 - 19

 

 

J’ai fait un art selon moi. Je l’ai fait avec les yeux ouverts sur les merveilles du monde visible, et, quoi qu’on en ait pu dire, avec le souci constant d’obéir aux lois du naturel et de la vie.

Odilon Redon


C’è sempre qualcosa di vagamente misterioso nel rapporto tra arte e natura. C’è un confine che è difficile mettere a fuoco con certezza, che si sposta e si sottrae ogni volta che si cerca di fissarlo;  alcuni lo marcano nettamente, altri tentano di oltrepassarlo, altri ancora provano a sostare nella sua dissonante instabilità. E’ quanto fa Hans-Hermann Koopmann, con la sensibilità di chi della natura conosce i codici, la materia, il senso vivente, le trasformazioni; e dell’arte sa le sfide, le tentazioni, le contraddizioni, le analogie rivelatrici, e la sublime banalità della bellezza.

Biologo di formazione e artista per vocazione, Koopmann da molti anni indaga l’idea stessa di realtà naturale, tra organico e inorganico, tra simbolo e metafora, dissodando per così dire gli stereotipi del rapporto tra arte e natura per proporre – innanzi tutto a se stesso – un processo sensoriale diverso. Lo fa con gli strumenti del video, dell’installazione e della fotografia; new media ormai consueti nell’orizzonte artistico contemporaneo ma usati come una sonda, o meglio come un filtro, per configurare una visione che non descrive ma indaga, in sintonia con quanto può rivelare un’elaborazione non solo e non tanto delle immagini quanto del tempo, rallentato per modulare diversamente la percezione del vivente.

Rose is a rose is a rose è un gioco linguistico di Gertrude Stein, una citazione dal poema Sacred Emily (1913), e non a caso Hans-Hermann Koopmann lo riprende. Tutto il suo lavoro infatti si svolge tra linguaggio della scienza e linguaggio della natura. “Conosci come uno scienziato e gioca come un artista”, ha detto Koopmann in una recente intervista; e gioca a interrogarsi e a interrogarci. Cosa è infatti oggi il paesaggio, cosa è un fiore, un vivaio, un vaso, una pianta, un fiore reciso, si può guardare al paesaggio come ad un oggetto vivente, come una creatura biologica? E cosa è il tempo, il tempo di crescita di una cellula, o il tempo misurato dalla luce solare, o quello dell’aprirsi di un fiore o di una foglia?  

Nelle installazioni per la Festa delle rose a Castel Giuliano le rose di Hans-Hermann Koopmann sprofondano lentamente nell’acqua. Le ombre delle foglie oscillano come se fossero mosse dalla voce di Gertrude Stein che ripete il suo elogio di Matisse. I diversi sistemi di comunicazione – le parole e le immagini - ondeggiano l’uno verso l’altro, senza peraltro incontrarsi mai. Le rose si posano sulla superficie dell’acqua e ne sono inghiottite. Le parole si snodano senza inflessioni e senza emozioni, puro suono che si trasforma in un evento minimale. Il tempo si dilata, e insieme si addensa, dà corpo a sfumature e passaggi; la lentezza del moto di forme e figure diventa quasi una materia, acquisisce una sostanza tangibile. Chi guarda gli animali  che si spostano piano sullo sfondo di  spiagge lattee e opalescenti di  into the white open, o il ritmo artificiale/naturale della luce di cellule fotoelettriche nella curva di una strada di campagna di  Intermittenze, può forse perdersi nel percorso instabile che si configura tra il guardare e il pensare. Un percorso di transito quello di Koopmann, tra interstizi e microcosmi, alla scoperta di situazioni minime, eventi labili, esperienze di fulminea delicatezza. Per ripensare il paesaggio.  

I limiti – interfacce, canopee, limitari, margini, bordure – costituiscono, in sé, spessori biologici. La loro ricchezza è spesso superiore a quella degli ambienti che separano

Gilles Clément

 

SILVIA BORDINI

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